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dai GIORNALI di OGGI

Franceschini nuovo segretario del Pd

Veltroni: "Dario è la persona giusta"

2009-02-022

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L'ARGOMENTO DI OGGI

 

 

 

CORRIERE della SERA

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2009-02-23

Dopo l'elezione a segretario del Pd

Franceschini nella sua Ferrara

attacca Berlusconi sulla Costituzione

Il neo leader: "Il premier è contro la Carta a cui lui ha giurato fedeltà"

FERRARA - "Il presidente del Consiglio ha in mente un paese in cui il potere viene sempre più tacitamente concentrato nelle mani di una sola persona. Questo è contro la Costituzione a cui lui ha giurato fedeltà".

CONTRO BERLUSCONI - È anche per questo motivo che il neo segretario del Pd, Dario Franceschini, ha giurato fedeltà alla Costituzione, assieme al papà Giorgio 87 anni, partigiano durante la seconda guerra mondiale, davanti al cippo dell'eccidio degli Estensi a Ferrara, la sua città. "Non è il momento della delusione, dell'astensionismo o del disimpegno - ha aggiunto - è il momento in cui tutti gli italiani che credono nei valori condivisi che hanno fatto nascere la nostra Costituzione, dall'antifascismo e dalla resistenza, in modo pacifico, civile e democratico comincino una lunga battaglia per difendere la democrazia italiana".

PRIMA USCITA - Si è consumata così la prima uscita pubblica di Dario Franceschini, a cinque giorni dalle dimissioni di Walter Veltroni. Il numero due del partito sabato aveva incassato il via libera dell'Assemblea nazionale dei democratici con 1.047 voti e domenica a casa sua ha voluto una cerimonia simbolica al Castello Estense, luogo di un massacro di civili nel 1943 da parte delle truppe nazi- fasciste, per giurare su un vecchio testo costituzionale del papà. Da qui riparte il Pd con l'attacco a Berlusconi.

22 febbraio 2009(ultima modifica: 23 febbraio 2009)

 

 

 

 

2009-02-22

Parisi il suo unico sfidante. Anna finocchiaro: "Non è l'8 settembre che ci attende"

Franceschini nuovo segretario del Pd

Veltroni: "Dario è la persona giusta"

Il vice di Veltroni eletto a grande maggioranza, dopo la decisione di saltare le primaria. Resterà fino a ottobre

Dario Franceschini: l'assemblea nazionale del Pd lo ha eletto nuovo segretario (Inside)

Dario Franceschini: l'assemblea nazionale del Pd lo ha eletto nuovo segretario (Inside)

ROMA - Dario Franceschini è il nuovo segretario del Partito democratico. La sua elezione è avvenuta al termine dell'Assemblea nazionale del partito che, in mattinata, aveva deciso di nominare subito un nuovo leader, dopo le dimissioni di Walter Veltroni annunciate all'indomani della sconfitta elettorale alle regionali in Sardegna. Franceschini ha ottenuto 1.047 voti; il suo unico sfidante, Arturo Parisi, ne ha conquistati invece solo 92. I votanti sono stati complessivamente 1.258, meno della metà rispetto al numero di delegati che era atteso nei padiglioni della nuova Fiera di Roma per la convention democratica. "Da oggi inizia davvero la stagione dell'unità" è stato il primo commento del nuovo numero uno di Sant'Andrea delle Fratte, che per il suo esordio ha citato una frase di Arrigo Boldrini e Benigno Zaccagnini quando erano partigiani: "Se è notte si farà giorno. Noi abbiamo dimostrato che stiamo cominciando a lavorare per costruire un giorno nuovo".

GLI AUGURI DI VELTRONI - "Dario è un uomo politico leale, forte e che crede in quel progetto del Partito democratico come un soggetto nuovo che sia perno del riformismo italiano - ha detto invece Walter Veltroni in una nota diffusa dopo l'esito del voto -. Dario è la persona giusta per guidare il partito verso le nuove sfide che penso potranno vedere per il Pd quei successi che merita. A lui voglio dare un abbraccio e rivolgere il più caloroso e affettuoso augurio di buon lavoro".

PIENI POTERI - Il nuovo leader avrà pieni poteri e non sarà dunque un semplice reggente. Guiderà il partito nei prossimi mesi - caratterizzati dall'importante appuntamento delle elezioni amministrative ed europee - e lo traghetterà fino al congresso di ottobre. La decisione di votare subito un sostituto di Veltroni, evitando così l'indizione di primarie, come chiedeva una parte dei delegati, è stata decisa dall'assemblea stessa, con un voto che ha visto 1.006 delegati a favore, a fronte di 207 no e 16 astenuti.

Arturo Parisi, unico sfidante di Franceschini (Emmevi)

Arturo Parisi, unico sfidante di Franceschini (Emmevi)

I DUE SFIDANTI - Già nel discorso con cui aveva annunciato la sua candidatura Franceschini aveva parlato da segretario in pectore, parlando della necessità di capire gli errori si qui compiuti per poter rilanciare l'azione po litica del partito. A lui si è contrapposto solo il prodiano Arturo Parisi, da sempre critico nei confronti della segreteria, che aveva invece chiesto di superare la crisi del partito, attribuita senza troppi giri di parole all'attuale dirigenza, Franceschini compreso.

LE REAZIONI ESTERNE - Molto critiche le prime reazioni delle altre forze politiche: il centrodestra profetizza altri mesi di sconfitte per il centrosinistra, mentre Rifondazione comunista teme che con un ex della Margherita alla guida del partito non vi sarà vera opposizione al governo, alla Confindustria e al Vaticano.

FINOCCHIARO: "SENZA PAURA" - "Noi non torniamo indietro, non abbiamo paura, non è l'8 settembre che ci attende - aveva affermato in precedenza Anna Finocchiaro aprendo i lavori dell'assemblea -. Noi non siamo un gregge che si disperde alla prima sassata. Quello di oggi è un evento straordinario e anche inaspettato, il passaggio più difficile che un giovane partito può trovarsi a affrontare e la scelta di tornare alla sovranità dell'assemblea è stata una scelta politica contro anche una rappresentazione di noi che viene data dai media: noi siamo capaci di affrontare questo momento in piena democrazia e senza isteria".

LA CONTESTAZIONE - Tuttavia qualche tensione la si è registrata. Gad Lerner, che sosteneva l'ipotesi di svolgere delle primarie, ha parlato del rischio "di farci ancora una volta molto male a non parlare con il Paese e a illuderci di trovarci compatti dietro un gruppo dirigente che ci ha portato di sconfitta in sconfitta". Lerner è stato autore di uno degli interventi più duri, che ha raccolto anche applausi scroscianti da una parte della platea. Rivendicando a viva voce le primarie, il giornalista ha chiesto polemicamente: "Come mai qui oggi non si presenta Bersani, per quando si annunciano le candidature? A cosa si rinvia la propria assunzione di responsabilità? Già una volta Bersani ha ammesso di aver fatto una grossa cavolata a non presentarsi non vorrei che oggi la facessimo noi, se ci chiudessimo dentro ad un gruppo dirigente che deve essere fortemente ricambiato. Il problema vero del paese oggi è un'opposizione che non c'è". L'intervento di Lerner ha riacceso gli animi, dando il via ad una contestazione da parte di un gruppetto di delegati. Al grido di "andate a casa" e "primarie, primarie", alcuni partecipanti all'assemblea nazionale hanno poi interrotto l'intervento di Ermete Realacci, a sostegno della elezione di Dario Franceschini.

VOTO SEGRETO - Le urne sono rimaste aperte dalle 15 alle 16,30, mezz'ora in meno del previsto dato che la gran parte dei delegati ha votato nella prima parte del tempo a disposizione. L'elezione si è svolta a scrutinio segreto. Franceschini è ora segretario a tutti gli effetti e con pieni poteri, anche se la sua permanenza alla guida del partito sarà inizialmente limitata a un periodo di circa otto mesi, fino a quando a ottobre il congresso del Pd chiamerà a raccolta i delegati delle sezioni di tutta Italia per la definizione della linea politica e la scelta del nuovo leader. Sarà solo in quell'occasione che potrebbero uscire allo scoperto anche altri nomi di spicco del Pd - Bersani su tutti - che in questa fase di transizione hanno preferito non esporsi in prima persona.

M.Le./Al. S.

21 febbraio 2009(ultima modifica: 22 febbraio 2009)

 

 

 

 

 

 

E la nomenklatura si salvò

"Rischio nuovismo scongiurato"

Il ruggito del popolo delle primarie non si sente. Fassino: "Valium? Ha vinto la ragione"

Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema (Ansa)

Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema (Ansa)

ROMA — "Riserveremo a Franceschini e alla nomenklatura un trattamento tipo maggiordomo di Giuliano Soria" sibila all'ingresso un bellicoso delegato di Torino. Resterà l'unico acuto, oltre a qualche strillo — "Tutti a casa!" — molto fotografato ma subito spento da un'urlataccia più forte della Finocchiaro donna d'ordine. Per il resto, la "nomenklatura" se l'è cavata. E il nuovo leader, anziché essere multato come il malcapitato mauriziano per ogni cappuccino mal riuscito (almeno secondo l'accusa), viene festeggiato con la prodiana Canzone popolare, riesumata dopo il fallimento del Mi fido di te di Jovanotti-Veltroni. Alla Fiera di Roma era attesa la mitica base in rivolta. L'irruzione della società civile nelle polverose stanze delle oligarchie. Il ruggito del popolo delle primarie, attraverso i loro rappresentanti qui convocati. Invece tutti silenziosi, miti, placidi. "Secondo me li hanno sedati" ipotizza Lucia Annunziata. In realtà il lavorio dei vecchi leader ha convinto quasi tutti che Franceschini è una necessità, per ora.

LA VERA PARTITA DOPO LE EUROPEE - Dopo le Europee si giocherà la partita, tra lui (o un altro candidato della maggioranza popolari-veltroniani-fassiniani) e Bersani, sostenuto da D'Alema e forse da Enrico Letta, se non andrà con Follini e magari Rutelli a fondare con l'Udc il nuovo partito di centro, nome provvisorio Kadima italiana. Base cloroformizzata, vertice arzillo. Fassino, di ottimo umore: "Ma quale Valium? Ha vinto la ragione". Bersani, lontano da taccuini e telecamere, si lascia andare: "Abbiamo dimostrato che ci siamo ancora. Che siamo un partito. Che noi sappiamo come fare. Le primarie adesso sarebbero state come il festival di Sanremo. O come Miss Italia. Senza piattaforme, senza un congresso, nei gazebo si sarebbe votato come a un concorso di bellezza. Faremo pure i gazebo; ma a suo tempo. Volevate deciderlo voi giornalisti il leader? Già vi vedevo: e i sondaggi, e Internet, e Facebook; quello che vuole la faccia nuova, quello che vuole il trentenne, quello che provoca "il vostro capo ideale è Fini"... Oggi a tutto questo abbiamo detto basta". All'inizio è previsto un certamen tipo Orazi e Curiazi o lotteria dei rigori: cinque oratori per Franceschini, cinque per le primarie subito. Quando parlano i sostenitori della linea ufficiale, a ogni angolo di ogni settore c'è un peone entusiasta che chiama l'applauso. I ribelli, tutti a braccia conserte. Arturo Parisi è andato dal parrucchiere, ma invano: parlerà a una sala semivuota. Gad Lerner confabula a bassa voce, ma non è cospirazione, sta raccontando agli amici che la sua barbera del Monferrato ha preso i tre bicchieri del Gambero Rosso. Poi sale sul podio a chiedere le primarie. D'Alema sorride: "Bravo, intervento ottimo, Lerner ha perfettamente ragione. I nodi da sciogliere al più presto sono quelli che dice lui: Medio Oriente, laicità... Ci sarebbe solo un dettaglio: le elezioni. Non possiamo montare i gazebo mentre ci sono da decidere le candidature e fare la campagna elettorale". Riccardo Barenghi ex direttore del manifesto lo incalza, D'Alema risponde con un buffetto: "Barenghi io non mi occupo di organizzazione. A voi non ve ne frega niente", altro buffetto, "ma noi qui abbiamo problemi seri di cui occuparci".

LA MAPPA DELLE CORRENTI - La disposizione in sala riproduce la mappa delle correnti, capi e sottocapi si siedono vicini a comporre pacchetti di mischia: a sinistra D'Alema con Bersani, Latorre e Livia Turco; più distante Minniti ormai emancipato; al centro Fassino tra Marina Sereni e Damiano; a destra Realacci, Enzo Bianco, Gentiloni e altri della Margherita; i veltroniani in giro a ricevere solidarietà; un po' defilato Letta; Rutelli ancora più distante, decima fila, in direzione dell'uscita. "Tutti a casaaa!" ci riprovano gli urlatori, D'Alema si volta a guardare, sul viso una smorfia involontaria come fissasse una mosca su un cuscino di broccato bianco. L'ex ministro Bianchi, che è qui in quota Castro, sciarpa rossa e capelli bianchi lunghi, vaga su e giù da solo, anima in pena. Si vota. Non in segreto: per alzata di tessera. Le "scrutatrici di settore", come le chiama la Finocchiaro, sono nel pallone: "Compagno siediti te ti ho già contato, amico scusa ti spiace alzare di nuovo la mano?"; Morando, che vorrebbe le primarie adesso, si lamenta: "Ma come si fa a votare così, non si capisce niente, è una presa in giro"; gli dicono di lasciar perdere, ormai è tutto deciso. Barenghi, fuori dal raggio dei buffetti di D'Alema, provoca: sempre bulgari, eh? "Magari. Questa non è la Bulgaria, questo è un suq arabo. A Roma si dice 'na caciara. Io voto segretario il primo che fa piazza pulita: noi chiusi in una saletta riservata, con ogni confort; voi fuori, via, a guardarci sulla tv a circuito chiuso. Al massimo lasciamo aperto l'audio". D'Alema finge di arrabbiarsi, in realtà pare rilassato: Veltroni non c'è più, tutti gli altri sì.

"DECIDO IO" -Il discorso di Franceschini lancia la parola-chiave "decido io", affronta i temi irrisolti della collocazione europea e del testamento biologico, suscita gli applausi più alti quando evoca con efficacia la Resistenza: la lunga notte del '43, la strage fascista nella sua Ferrara, la corrispondenza in romagnolo tra Boldrini e Zaccagnini, il comunista e il cattolico che considera il suo maestro. Marini, a pipa spenta: "La faccetta sorridente di Dario trae in inganno. Lui sembra buono. In realtà è un duro. Determinato". Fassino, ormai euforico: "Franceschini c'ha due palle così!". Davanti a Bersani si forma una processione di diessini: "Noi avremmo votato per te...". "Tranquilli: a ottobre". Poi, al cronista: "In questi giorni i quotidiani hanno trattato Franceschini in modo vergognoso. E Franceschiello di qui, e dilettante di là. Il signor nessuno, la mammoletta. Io voglio un partito che reagisca a queste vergogne. Dario ha una figlia piccola, la mia ha quindici anni: dobbiamo nasconderle i giornali?". Di Bersani hanno detto che somiglia a Ferrini, il venditore di pedalò di Quelli della Notte. "Perché no? Ferrini è simpatico, e del resto io dico sempre che Berlusconi è come i pedalò: esce solo con il bel tempo". Dicono pure che con Bersani finisce il Pd e comincia un partito socialdemocratico. "Dalle mie parti socialdemocratico è quasi un insulto. Io semmai sono stato liberale...". Chi ha dubbi li esprime a voce bassa. Lerner: "Le primarie sarebbero state un ottimo lancio per le Europee, con il Pd in prima pagina per due mesi. Ma qui ho visto gente spaventata". Vincenzo Cerami, quota Benigni, si avventura nei labirinti della politica: "Allora, oggi hanno votato Franceschini, ma la prossima volta votano Bersani? È così? Ho capito bene? O no?". L'ex ministro Bianchi parlotta da solo. Franceschini raccomanda: "Mai più interviste, gli scontri risolviamoli tra di noi, non sui giornali". Bersani: "Sia chiaro che non ho dato un'intervista". Marini: "C'era un rischio nuovismo". Un rischio che pure ieri è stato evitato.

Aldo Cazzullo

22 febbraio 2009

 

 

 

Ma gli ex ds sono già all'attacco

"Ora ci vuole un riequilibrio"

E Bersani: "Dario non mi ha convinto, io correrò per la leadership"

Dario Franceschini e Pier Luigi Bersani (Ansa)

Dario Franceschini e Pier Luigi Bersani (Ansa)

ROMA — Qualche mese fa Beppe Fioroni lo aveva profetizzato: "Il Pd sarà veramente un partito nuovo quando avrà un segretario che non proviene dalle file dei Ds, ma che è un ex margheritino". E ieri questo è proprio quel che è successo. A reggere la malandata baracca del Partito democratico è stato chiamato un esponente che viene dal Ppi. Una "mini-rivoluzione" a cui gli ex diesse si sono dovuti acconciare pur di mettere la parola fine a un lungo tormentone che rischiava di portare il Pd a un punto di non ritorno. E poco importa se l'autore della profezia dovrà cedere la poltrona a un post-ds. "Dobbiamo riequilibrare", sorride Franco Marini. La guida dell'organizzazione passerà dalle mani di Fioroni a quelle del fassiniano Maurizio Migliavacca. Ma quel che conta è che sulla poltrona del numero uno ora siede uno che con il Pds e con i Ds non ha mai avuto a che fare. "E così — sorride l'ex segretario della Cisl Sergio D'Antoni — è finita la lunga faida dei nostri compagni di strada, che è cominciata nel Pds, è proseguita nei Ds ed è continuata pari pari nel Partito democratico: D'Alema contro Veltroni e viceversa. Finora abbiamo assistito alle loro lotte intestine, ora c'è Franceschini, tutta questa vicenda è finita e un partito veramente nuovo è nato sul serio".

I DS E L'EGEMONIA NEL PARTITO - Ma sembrano proprio gli ex ds i primi a rendersi conto che la loro egemonia nel Pd appare come una storia archiviata. Le città che un tempo venivano definite "rosse" non sono più roba loro. A Bologna si va alle primarie e il candidato che vince non proviene dalle loro file. A Firenze si va alle primarie è l'esito è identico. Di più: nelle fallimentari elezioni regionali sarde gli ex margheritini ottengono tredici consiglieri su diciassette. Quelli che un tempo si chiamavano diessini non avrebbero mai immaginato che finisse così. Sembrano passati anni luce da quando Massimo D'Alema, per convincere i renitenti al Partito democratico, spiegava: poi tanto lo gestiremo noi. Inevitabile allora che si cerchi di riparare in qualche modo a quel che è avvenuto. Lo si fa mandando a difendere le ragioni della scelta di Franceschini il presidente della giunta dell'Emilia Romagna Vasco Errani. O il segretario del Pd di Piombino Matteo Tortolini. È come dire al popolo degli ex ds: siamo sempre noi che "comandiamo". Peccato che così non sia. Lo ammette lo stesso Errani, quando scende giù dal palco: "Il problema del riequilibrio certamente esiste, ma risolviamo ogni cosa a suo tempo".

DISCUSSIONE AL CONGRESSO - E Massimo D'Alema avverte: "La discussione approfondita la faremo al congresso". Mentre Pierluigi Bersani, per la seconda volta, rinuncia a candidarsi. Lo fece alle primarie del 2007, quando, per difendere le ragioni della "ditta" diessina, rinunciò alla corsa lasciando campo libero a Veltroni. Lo ha rifatto ieri, evitando di confrontarsi subito, come pure lo aveva sfidato a fare Gad Lerner, con l'ex margheritino Franceschini. "Oggi è il suo giorno", si è schermito. Ma ci è rimasto male, si vede, tanto che ha poi insistito nel dire che "il discorso di Dario non mi ha convinto fino in fondo: la mia candidatura resta perché solo io posso portare avanti certi temi". È chiaro che in queste condizioni Franceschini abbia virato il suo discorso a sinistra. Tanto da far dire all'ultrà dalemiano Roberto Gualtieri: "Mi ha convinto, c'è un cambio di linea rispetto a Veltroni, lo voto". Sicuramente Gualtieri non sapeva che (giusto per fare un esempio) la parte del discorso del neo-segretario dedicata al sindacato era nota al leader della Cisl Raffaele Bonanni, che di Epifani e della Cgil è il nemico numero uno. Ma anche se l'ultrà dalemiano lo avesse saputo non avrebbe agito altrimenti: l'unica chance è quella di cercare di mettere il cappello su Franceschini per evitare di far vedere che ormai la partita non si gioca più tra le quattro mura rassicuranti del Botteghino.

LE POLTRONE "RESIDUE" - Ora agli ex ds non resta che puntare alle poltrone residue. Quella del capo dell'organizzazione, appunto. E poi? C'è chi vuole mettere in discussione anche il posto di capogruppo alla Camera. Adesso c'è Antonello Soro, fedelissimo di Franceschini, ma qualcuno vorrebbe piazzarvi un ex ds. Non è aria, però. Marini, che fa avanti e indietro dinanzi al palco della presidenza dell'assemblea costituente, sfoggia grande aplomb per evitare di irritare gli alleati diessini: "Per Dario sarà dura, ma questa può essere per lui un'ottima occasione". E se invece il segretario dovesse fallire perché gli ex Ds non si sentono rappresentati da lui? "Allora — sorride l'ex presidente del Senato, accarezzando la pipa — vorrà dire che ognuno potrà ritenere di avere le mani libere". Ma questo riguarda il futuro. Nel presente c'è il Fassino che si sbraccia per cercare di convincere tutti che questa è una grande vittoria degli ex ds, salvo ammettere, due minuti dopo, con un compagno di partito, che il problema di un riequilibrio con gli ex della Margherita "andrà affrontato". Prima o poi...

Maria Teresa Meli

22 febbraio 2009

 

 

2009-02-21

"Se sarò eletto restero' solo fino al prossimo congresso"

Franceschini: "E' il momento della verità, dobbiamo capire i nostri errori"

Il discorso: "Azzererò il coordinamento, il governo ombra, non la direzione che è stata eletta"

ROMA - "Questo è il momento della verità e non delle emozioni, serve chiarezza ed il momento in cui tutti insieme ci rimbocchiamo le maniche". Dario Franceschini aveva aperto così il suo intervento all'assemblea nazionale del Pd, a cui partecipava da vicesegretario uscente e, al tempo stesso, da nuovo leader in pectore. Dopo il via libera dei delegati all'elezione immediata del nuovo capo del partito, Franceschini era salito sul palco e in un intervento senza troppi giri di parole ha spiegato che nei prossimi mesi lavorerà in assoluta autonomia, senza lasciarsi condizionare dalle richieste di chicchessia, neppure di quelle che dovessero provenire da coloro che pure nelle ultime ore avevano sostenuto la sua candidatura.

"CAPIRE GLI ERRORI " - "Sono stato descritto come debole, dilettante, un signor nessuno - ha detto Franceschini - e così mi hanno consigliato di fare un discorso ricco di calore, in grado di portare l'Assemblea all'emotività. Ma questo non è il momento delle emozioni, è il momento della verità. Dobbiamo capire i nostri errori ed avere l'orgoglio - ha affermato ancora Franceschini - delle cose belle realizzate". "Non posso nascondere la crisi in cui siamo - ha poi aggiunto , ma abbiamo costruito non solo un contenitore ma una nuova appartenenza ed è questa che crea dolore, delusioni perchè è dettata dal sentimento di essere in una casa nuova, in una casa comune. Non ci saranno crisi che ci possano far rinunciare all'idea che il nostro è un futuro comune".

LA CANDIDATURA - Franceschini ha spiegato di aver accettato di candidarsi a segretario del Pd come un mandato di servizio assicurando di non avere mire personali per il futuro, e che quindi a ottobre terminerà il suo lavoro. "Io non l'ho chiesto - ha spiegato - volevo rifiutare. Ma poi sarebbe sembrata una fuga. Interpreto questo ruolo come servizio, sarà come un compito difficilissimo". Ha poi precisato che si occuperà di gestire questa delicata fase "per affrontare le europee e garantire poi lo svolgimento del congresso" e ha ribadito di non avere "nè padrini, nè protettori". Non sono qui per preparare il mio destino personale - ha garantito -: il mio lavoro finisce ad ottobre".

STOP A GOVERNO-OMBRA - Franceschini ha annunciato che azzererà il governo ombra e il coordinamento nazionale: "Ricominceremo da lunedì - ha detto -. Azzererò il coordinamento, il governo ombra, non la direzione che è stata eletta. Metterò in piedi nuove forme di collegialità con aperture al territorio, ai sindaci, ai segretari regionali". Ma, ha avvertito, "non farò trattative con nessuno, sceglierò io. Sceglierò io e chi batte le mani adesso non venga domani a chiedere di nominare qualcuno. Sentirò gli uomini del partito ma senza coinvolgerle nella gestione del partito".

L'ATTACCO A BERLUSCONI - Non è poi mancato un affondo contro il governo e il suo capo: "Silvio Berlusconi non vuole governare, ma diventare il padrone d’Italia - ha tuonato al microfono -. Ha in mente una forma moderna di autoritarismo, e ho misurato le parole. Vive come un ingombro il Parlamento e il ruolo di garanzia del presidente della Repubblica, arriva al cinismo di attaccare la Costituzione attorno al letto di un ragazza morente, al cinismo di sfruttare la paura per legalizzare le ronde, contro tutti i diritti umani". Per questo, "le nostre divisioni sono più colpevoli perchè in Europa - ha fatto notare - solo nel nostro Paese abbiamo un presidente del Consiglio che offende la Costituzione, disprezza i principi della democrazia. Di fronte a ciò, e i riformisti alzano la voce e mettono in campo tutte le forze per difendere la Costituzione".

21 febbraio 2009

 

REPUBBLICA

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2009-02-22

Pd, l'Assemblea ha scelto

l'orgoglio e la speranza

di EUGENIO SCALFARI

IL GIORNO dopo le sue dimissioni da segretario del Partito democratico tutti i giornali aprirono la prima pagina con il titolo: "Veltroni si dimette e chiede scusa". Titolo ineccepibile perché nel suo discorso di addio domandò scusa almeno tre volte, all'inizio, alla metà e ancora alla fine.

Chiese scusa e ringraziò. Prese su di sé tutta la responsabilità dell'insuccesso, anzi degli insuccessi. Aggiunse: "Non ce l'ho fatta". E questa è stata l'impressione ricevuta dai lettori, gran parte dei quali si limita a sfogliare leggendo i titoli e scorrendo velocemente i testi.

Ma chi ha letto o ascoltato quel discorso sa che c'era molto di più delle scuse e dei ringraziamenti. Non era affatto l'addio di chi ripiega la bandiera e se ne va. Era un discorso di rilancio del partito, che forniva ai successori la piattaforma politica e programmatica dalla quale ripartire. Quella già indicata al Lingotto dell'ottobre 2007, allora accolta da tutti, dentro e fuori del Pd come una forte discontinuità rispetto al passato ed una suggestiva apertura verso il futuro.

Veltroni ha spiegato dal suo punto di vista perché quell'inizio così promettente è poi andato declinando giorno dopo giorno. Lasciamo pure da parte la guerriglia che si è quasi subito scatenata contro di lui e sulla quale lui stesso ha avuto il buongusto di non insistere. C'è stato un suo errore caratteriale da lui stesso ammesso: la mediazione per tenere insieme a qualunque costo le varie anime del partito. Forse è meglio dire i vari pezzi del partito: laici e cattolici, socialisti e moderati, tolleranti e intransigenti, puri e duri e pragmatici.

Veltroni ha impiegato gran parte del suo tempo a cercare punti di sintesi che erano piuttosto cuciture fatte col filo grosso, con la conseguenza che quei vari pezzi e quelle varie ispirazioni e provenienze sono rimaste in piedi senza dar vita ad una cultura nuova e unitaria. Con un'aggravante: nel Sud le classi dirigenti locali, fatte alcune rare eccezioni, hanno un basso livello etico e politico, non sono gattopardi ma volpi e faine. In tutti i partiti e in tutti i clan. A destra, al centro e a sinistra. Con frequenti mutamenti di casacche secondo le convenienze del momento e del luogo.

Questo è stato l'errore di Veltroni, ammesso da lui stesso. Francamente non saprei trovarne un altro, ma questo è certamente di notevole rilievo. Il programma c'era ed è adeguato alle contingenze attuali. La linea politica c'era e anch'essa è tuttora adeguata. Le critiche politiche e programmatiche formulate da D'Alema nella sua importante intervista rilasciata l'altro giorno al nostro giornale ci sembrano prive di consistenza. Quella che è mancata è stata la leadership. Gli era stata data da tre milioni e mezzo di elettori alle primarie di quell'ottobre, ma lui non l'ha usata.

Le dimissioni sono giunte inaspettate ma hanno avuto un effetto dirompente: hanno coinvolto l'intero gruppo dirigente, quello che dentro e fuori dal Pd è stato battezzato l'oligarchia, cioè il governo di pochi. Dopo aver impiegato sedici mesi per tenerla unita, in un colpo solo le dimissioni del segretario l'hanno delegittimata e spazzata via tutta insieme. Fuori lui e fuori tutti. Il partito c'è ancora, la necessità di una forza politica riformista di sinistra esiste più che mai, ma il gruppo dirigente non c'è più, non ha più legittimazione.

Ci sono singoli individui apprezzabili per la loro onestà intellettuale, il loro coraggio, la loro biografia, utilizzabili in quanto individui. Come personale di governo, se e quando l'eventualità di un governo di centrosinistra si materializzasse. Ma non più come gruppo politico dirigente. Veltroni si è dimesso e ha dimissionato l'oligarchia. Non so se ne sia stato consapevole ma questo è ciò che è accaduto.

* * *

Ci hanno spiegato che il congresso su due piedi tecnicamente è impossibile, si farà ad ottobre come previsto. Ci hanno spiegato che anche le primarie immediate sono, se non impossibili, tecnicamente difficili, i candidati non avrebbero neppure il tempo di presentarsi ai loro elettori come avviene in tutte le primarie serie, specie per i candidati nuovi, cioè non provenienti dal vecchio gruppo dirigente.

Ma c'è soprattutto una ragione politica che ha sconsigliato le primarie immediate. Per almeno un mese il partito avrebbe dovuto ripiegarsi su se stesso e un altro mese sarebbe poi passato per insediare il nuovo segretario. Significa che fino a maggio il partito sarebbe di fatto stato senza una guida e quindi in piena anarchia.

Nel frattempo la vita politica e parlamentare proseguirà, sarà necessario decidere come fronteggiare la crisi economica che proprio tra marzo e maggio raggiungerà il suo culmine, quale sarà l'atteggiamento del Pd sui temi della sicurezza, della riforma della giustizia, del testamento biologico, del referendum; bisognerà designare migliaia di candidati alle elezioni amministrative e formare le liste per le elezioni europee, organizzare la campagna elettorale che culminerà nell'"election day" del 6 giugno.

Un lavoro immane, impossibile da svolgere con un partito privo di fatto di guida politica. Era pensabile una soluzione di questo genere? O si trattava di un "cupio dissolvi" verso il quale il cosiddetto popolo di sinistra poteva precipitare? Bertinotti ha ravvisato un parallelismo tra la crisi che ha già dissolto la sua sinistra e quella che si profilava nella sinistra riformista. La previsione è stata per fortuna scongiurata dai riformisti e la ragione ha prevalso su precarie emotività.

Così è avvenuto con il voto dell'assemblea che a larghissima maggioranza ha scelto la soluzione Franceschini per colmare il vuoto lasciato dalle dimissioni di Veltroni. È una scelta di continuità oppure di rottura rispetto alla fase conclusa l'altro ieri?

* * *

Il nuovo segretario proviene dall'ala cattolica del Pd, è stato fin qui il numero due del partito condividendo con Veltroni la linea politica e la gestione. Tuttavia il suo discorso all'assemblea di ieri non è stato di continuità ma di rottura. Si è impegnato ad azzerare tutti gli incarichi al centro e alla periferia. Ha preso una posizione decisamente laica sul tema scottante del testamento biologico.

Per lui questa scelta non è inconsueta: fu il promotore e il primo firmatario del documento pubblicato un anno fa, sottoscritto dalla quasi unanimità dell'ala cattolica impegnata nel Pd, che rivendicava la piena autonomia delle scelte rispetto alla precettistica della gerarchia ecclesiastica. Una linea che cominciò da De Gasperi e proseguì fino ad Aldo Moro e poi a De Mita. Del resto nessuno meglio di un cattolico democratico può accollarsi la responsabilità di difendere la laicità dello Stato, la libertà dei cittadini e la loro eguaglianza di fronte alla legge anche se sostenendo questi principi ci si discosta dalle posizioni dei Vescovi e del Vaticano.

Vedremo in che modo il nuovo segretario adempirà agli impegni presi di fronte all'assemblea che lo ha eletto. Dovrà servirsi della sua oggettiva debolezza politica per farne una forza. Se ci riuscirà avrà come premio il merito di consegnare al futuro congresso un partito che ha superato una "tempesta perfetta" senza implodere nell'anarchia e nello sconforto. Questo è il suo compito ma per svolgerlo avrà bisogno del sostegno della base, soprattutto dei nuovi dirigenti che dovrebbero emergere durante questi mesi di procellosa navigazione.

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Nel frattempo Casini è uscito dal fortilizio che ha difeso finora con tenace volontà e si è lanciato in una guerra di movimento. La situazione dal suo punto di vista gli è favorevole dopo il successo in Sardegna della sua lista apparentata con Berlusconi. Il Pd è in crisi e una parte dell'ala cattolica propugna da tempo un'alleanza con l'Udc non escludendo una possibile scissione.

Ma tra il dire e il fare ci sono tuttavia molti ostacoli. Il primo sta nel fatto che Casini non ha alcun interesse a stipulare un'alleanza nazionale col Pd, che è pur sempre un partito con un seguito molto più numeroso del suo. Alleanze locali laddove siano vincenti sì, ma un patto di unità d'azione nazionale certamente no.

L'obiettivo di Casini è di fare un grande partito centrista che assembli i moderati del Pd e i liberali del Pdl. Grande rispetto all'attuale Udc che ottiene il 10 per cento nei luoghi in cui si allea con Berlusconi ma ritorna al suo 5-6 quando va da sola. L'obiettivo di Casini dovrebbe portare il suo partito di centro verso un consenso a due cifre, oltre il 10 per cento, in una forchetta da lui auspicata tra il 12 e il 15. Il modello che ha in mente è quello di Kadima, il partito israeliano fondato da Sharon e ora guidato da Tzipi Livni, che ha frantumato il Labour ed ha ottenuto alle recentissime elezioni una discreta affermazione in un quadro che registra un massiccio spostamento verso la destra e l'estrema destra dell'opinione pubblica di quel paese, con alcune punte dichiaratamente razziste.

Il quadro politico italiano non è paragonabile a quello di Israele, tuttavia il riferimento a Kadima lo fanno esplicitamente Casini e Buttiglione. Qualche ragione ci sarà. Lo schema mentale di Casini è quello d'un partito di centro cattolico, moderato e liberale che alimenti il cosiddetto regime dei due forni e cioè tre partiti sulla scacchiera, uno a destra, l'altro a sinistra un terzo al centro e quest'ultimo come ago della bilancia che decida quando e con chi di volta in volta allearsi. Non a caso questo schema, quest'ipotesi di lavoro è sostenuta da gran parte dei "media" che danno voce a interessi forti la cui moneta è rappresentata dallo scambio dei favori e dalla reciproca protezione.

Nei mesi che ci stanno alle spalle abbiamo assistito ad una campagna di delegittimazione sistematica nei confronti di Veltroni e del Pd, rei di non piegarsi a sufficienza alla connivenza con il centro e con la destra. Veltroni ha commesso un errore e l'abbiamo già indicato, ma ha resistito a quella pressione che però ha infine raggiunto l'obiettivo che perseguiva ottenendo il suo ritiro. Non è tuttavia riuscita a far implodere il Partito democratico e personalmente mi auguro che non ci riuscirà.

La politica dei due forni d'altra parte è irrealizzabile per una decisiva ragione. Essa presuppone che i due forni, cioè i due piatti della bilancia, siano solidi e di forza equivalente. Quello di destra è in realtà fortissimo, almeno fino a quando il populismo di Berlusconi farà presa sulla maggioranza degli elettori. Quello di sinistra è fragile, alla ricerca di una identità nuova che superi le storie antiche e ormai inservibili. Senza una sinistra salda non esiste l'ago della bilancia perché non esiste la bilancia. Ci sarebbe soltanto un centro aggregabile alla destra o relegato al margine della scacchiera. La sinistra scomparirebbe in una palude di sabbie mobili lasciando senza rappresentanza politica una massa di ceti sociali privi di poteri di negoziazione e inchiodati ad un rapporto perverso tra padroni e servi. Con una regressione sempre più rapida della Chiesa verso un ruolo lobbistico colluso con un governo di atei devoti.

Con l'elezione del nuovo segretario del Pd comincia l'ultimo atto di un percorso accidentato ma forse più consapevole e più partecipato. È auspicabile per la democrazia italiana che da qui si riparta con nuova lena e intatte speranze.

(22 febbraio 2009)

 

 

 

2009-02-21

L'assemblea nazionale del Pd. Su 2.384 delegati ne arrivano 1.300

L'ex vice di Veltroni eletto con 1.047 voti (Parisi ne ha avuti 92)

Pd, Franceschini nuovo segretario

addio alle primarie e più partito

"Non sono un bagno purificatore". E in sala uno striscione le invoca

Pd, Franceschini nuovo segretario addio alle primarie e più partito

ROMA - Si ritrovano in più di mille. Sui 2.384 delegati che compongono l'assemblea nazionale del Pd. L'appuntamento è qui, nei capannoni della Fiera di Roma a metà strada tra la Capitale e l'aeroporto di Fiumicino. Sbandati dalle dimissioni di Veltroni, con un partito che si guarda in faccia e fa fatica a ritrovarsi. Prigioniero di lotte intestine che rischiano di portarlo all'estinzione. C'era attesa per l'Assemblea nazionale dei democratici. C'erano i timori che diventasse "ingovernabile". C'era la curiosità di capire che strada imboccare per provare a uscire dalla crisi. Se le primarie o la scelta di eleggere Franceschini segretario pro tempore. Finirà che le tensioni della vigilia svaniranno nel plebiscitario voto che consacra Franceschini segretario.

I big ci sono tutti, o quasi. Manca Veltroni ma si sapeva. D'Alema, Bersani, Marini, Turco si piazzano in prima fila. Rutelli più indietro. Follini si confonde in mezzo alla sala. Parisi ripassa il discorso. Il sindaco di Bari Michele Emiliano ha al collo la sciarpa del Bari. Spunta anche Renato Soru e sono in tanti a stringere la mano all'ex governatore sardo. E poi i delegati. "Che ci aspettiamo? Di ritrovare l'energia del 2007" dice Annalisa Peditto, 31 anni da Caltanisetta. E' venuta dalla Sicilia con il marito Giacomo che aggiunge: "A Veltroni non è stato consentito di lavorare".

Si sceglie di far parlare cinque sostenitori delle primarie e cinque dell'elezione immediata del segretario. In realtà basta poco per capire che il corpo del partito ha già scelto. Basta sentire l'intensità degli applausi che accompagnano gli interventi dei big che puntano su Franceschini. Basta prestare attenzione al battimani che sottolinea la richiesta di eliminare il governo ombra e il partito "leggero". E così ne fanno le spese anche le primarie. Invocate dall'ala ulivista di Arturo Parisi e da veltroniani come Morando e Ceccanti. Chieste dagli autoconvocati che su internet si erano dati appuntamento per stamattina alla Fiera. Si era addirittura parlato di un sit in, che però non ci sarà.

"Le primarie? C'è il rischio che siano uno strumento plebiscitario e non democratico - dice Piero Fassino lanciando la candidatura di Franceschini -. Serve più partito e che si più solidale". Un partito vero, insomma. "Con iscritti, circoli e non solo gazebo dove si raccolgono le firme" scandisce il governatore dell'Emilia Romagna Vasco Errani. "Si parla delle primarie come un bagno salvificatore ma non è così" attacca Ermete Realacci. Troppo per i sostenitori delle primarie. Davanti al cancello avevano messo uno striscione che recita "congresso e primarie adesso". Adesso, dentro il padiglione, un gruppo di loro alza uno striscione che chiede "primarie subito", altri gridano un "tutti a casa" che innervosisce non poco Anna Finocchiaro: "Vorrei dire agli urlatori che l'unico effetto è di richiamare le telecamere e dare una rappresentazione falsata dell'assemblea". Qualcuno esagera e insulta: "Siete pagati da Berlusconi". A rivendicare la via del gazebo restano Arturo Parisi che conferma al sua volontà di candidarsi e Gad Lerner: "Le primarie sono l'unica forma praticabile di vero congresso nel quale chi ha da fare delle proposta si presenta, dice cosa pensa su temi come il maggioritario, la laicità, l'immigrazione e accetta che su questo il Partito si confronti e si conti".

Il voto è senza storia. I sì sono 1006, i no 207, 16 gli astenuti. Poco dopo i delegati applaudiranno Franceschini che attacca Berlusconi e chiama il serrate i ranghi. Quando tocca a Parisi la sala si svuota. Mezz'ora dopo le cinque la proclamazione. Franceschini è eletto con 1.047 voti (Parisi ne ha avuti 92). Da Bersani a Rutelli a D'Alema è un coro di soddisfazione. E, da lontano, Veltroni commenta: "Dario è la persona giusta". (m.t.)

(21 febbraio 2009)

 

 

 

 

 

LA SCHEDA

Dalla Dc al Partito Democratico

Ecco chi è il successore di Veltroni

Dalla Dc al Partito Democratico Ecco chi è il successore di Veltroni

Dario Franceschini

ROMA - Cinquant'anni, in politica dal 1974, deputato dal 2001, già esponente di spicco prima del PPI e poi della Margherita, vice segretario nazionale del PD dalla nascita del nuovo partito, nell'ottobre 2007, e quindi vice segretario reggente con le dimissioni di Walter Veltroni lo scorso 17 febbraio, Dario Franceschini è da oggi, e lo sarà almeno fino al Congresso fissato per il prossimo ottobre, il nuovo leader del Partito Democratico.

Dario Franceschini è nato a Ferrara il 19 ottobre 1958. E' sposato dal 1986 con Silvia ed ha due figlie, Caterina e Maria Elena. Si è laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Ferrara con una tesi in Storia delle Dottrine e delle Istituzioni politiche. Ha pubblicato nel 1985 il libro 'Il Partito Popolare a Ferrara. Cattolici, socialisti e fascisti nella terra di Grosoli e Don Minzoni' (ed. Clueb, Bologna). Avvocato civilista e cassazionista dal 1985. Il suo impegno politico inizia nell'autunno del 1974 quando fonda, al Liceo Scientifico "Roiti" di Ferrara, l'Associazione Studentesca Democratica di ispirazione cattolica e centrista.

Successivamente viene eletto in rappresentanza degli studenti nel consiglio di amministrazione dell'università di Ferrara. Si iscrive alla DC dopo l'elezione a segretario di Benigno Zaccagnini e dopo due anni viene eletto Delegato Provinciale dei giovani DC. Nel 1980 viene eletto Consigliere Comunale di Ferrara e nel 1983 capogruppo consiliare. Alle successive elezioni amministrative del 1985 e del 1990 è capolista della DC e primo degli eletti. Nel 1984 entra nella direzione nazionale del movimento giovanile Dc per il quale fonda la rivista mensile "Nuova Politica".

Chiusa l'esperienza dei giovani Dc entra negli organismi provinciali e regionali del partito e dirige a Roma il mensile "Settantasei" che raccoglie i giovani quadri della sinistra dc. Viene chiamato anche alla vicedirezione del mensile "Il Confronto" e nella redazione del settimanale del partito "La Discussione".

Nella fase di trasformazione della Dc al PPI invita il partito a scegliere la via dell'alleanza tra centro e sinistra. Conseguentemente, dopo la decisione del PPI di candidarsi alle elezioni del 1994 come "terzo polo", aderisce ai Cristiano Sociali, fondando il movimento a Ferrara e divenendone Consigliere Nazionale.

Dopo la scissione del PPI e l'adesione dello stesso all'Ulivo rientra nel partito. Dal 1997 al 1999 è chiamato all'incarico di vicesegretario nazionale. Nell'ultimo congresso nazionale del Ppi è fra i tre candidati all'incarico di segretario politico e successivamente entra a far parte della direzione nazionale e dell'ufficio di segreteria con l'incarico per le politiche della comunicazione.

Entra nel secondo governo D'Alema come sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega alle riforme istituzionali e viene confermato nello stesso incarico nel successivo governo Amato.

Alle elezioni politiche del 2001 è candidato dell'Ulivo alla Camera dei Deputati nel Collegio maggioritario di Ferrara e capolista della Margherita nella quota proporzionale nelle Marche.

Tra i fondatori della Margherita, nel luglio 2001 entra a far parte del comitato costituente del partito, del quale diventa coordinatore dell'esecutivo nazionale.

Alle elezioni politiche del 2006 è capolista dell'Ulivo nella circoscrizione Lombardia II e candidato in Emilia-Romagna, per la quale opta. E' stato Presidente del nuovo gruppo parlamentare "L'Ulivo" alla Camera dei Deputati dal maggio 2006 all'ottobre 2007 quando Veltroni, nato il Pd, lo chiama al suo fianco come vicesegretario del nuovo partito nato dalla confluenza di Ds e Margherita.

(21 febbraio 2009)

L'UNITA'

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2009-02-22

A Ferrara Franceschini giura sulla Costituzione

"Il presidente del Consiglio ha in mente un paese in cui il potere viene sempre più tacitamente concentrato nelle mani di una sola persona. Questo è contro la Costituzione a cui lui ha giurato fedeltà". È anche per questo motivo che il neo segretario del Pd, Dario Franceschini, ha giurato fedeltà alla Costituzione, davanti al cippo dell'eccidio degli Estensi a Ferrara, la sua città.

"Non è il momento della delusione, dell'astensionismo o del disimpegno - ha aggiunto - è il momento in cui tutti gli italiani che credono nei valori condivisi che hanno fatto nascere la nostra Costituzione, dall'antifascismo e dalla resistenza, in modo pacifico, civile e democratico comincino una lunga battaglia per difendere la democrazia italiana".

Quelli che attendono il centrosinistra saranno "mesi difficili, anni difficili, ma noi alla fine vinceremo". Ne è convinto il segretario del Pd che, giurando ulla Costituzione, ha fissato nella difesa dei valori il primo punto della sua attività da segretario. "Fino a qualche decennio fa - ha detto - la Costituzione, l'antifascismo e la laicità erano valori condivisi da tutte le forze politiche, che si fronteggiavano anche duramente. Oggi sembra che noi sia più così. Noi vogliamo che torni ad essere così. Saranno mesi difficili, anni difficili, ma noi alla fine vinceremo".

Un giuramento che lui stesso ha definito "anomalo", ma che ha il valore simbolico di sottolineare l'importanza della battaglia a difesa della Costituzione come punto qualificante della sua segreteria del Pd. Franceschini ha giurato sulla copia del padre

Giorgio, 87 anni, partigiano cattolico, commosso accanto a lui durante il giuramento a Ferrara. Anche il luogo scelto non è casuale: Franceschini ha infatti giurato fedeltà, secondo la formula che usa il presidente del Consiglio, giurando di "esercitare le funzioni da segretario del Pd nell'interesse esclusivo della nazione", davanti al cippo sul muretto del fossato che circonda il Castello degli Estensi e che ricorda l'eccidio di 11 antifascisti uccisi dai nazifascisti nella lunga notte del 15 novembre 1943.

Franceschini ha ringraziato le centinaia di persone presenti, venute ad assistere al giuramento. E ha rivolto un grazie particolare anche alla sua città, Ferrara, "per la sua tradizione civile, democratica e antifascista". Si è poi scusato con il padre Giorgio per la grande emozione che gli ha dato e con la mamma Gardenia, rimasta nascosta fra la folla durante la cerimonia.

22 febbraio 2009

 

 

 

Né primarie, né congresso Il Pd si affida a Franceschini

di Ninni Andriolo

Senza entusiasmo, ma l’ex dc allevato di Zaccagnini conquista la leadership Pd rassicurando gli ex diessini più degli ex democristiani. E promettendo un partito senza ex e senza post, più unito e collegiale di prima. Segretario fino al Congresso di ottobre. A termine, ma non dimezzato. Con pieni poteri, anzi. Ma il Pd di Franceschini, non sarà il partito del leader. Sarà, al contrario, radicato e plurale.

Discontinuità

Discontinuità dalla confusione di questi mesi: questo aveva chiesto ieri la platea, avara di applausi nei confronti di un Veltroni che non era venuto. Franceschini non ha scaldato i cuori ma ha tranquillizzato l’Assemblea. Non perché ha imboccato una linea diversa da quella di "Walter" - "senza di lui non ci sarebbe il Pd", ha detto - ma perché ha promesso di dipanare nodi politici aggrovigliati. Ha annunciato opposizione "dura" a Berlusconi. Ha rilanciato un partito forte e radicato. Ha parlato di "vocazione maggioritaria" senza contrapporla alla costruzione di una coalizione di governo. Il Pd, poi, non entrerà nel Pse, ma "non potrà mai stare in un luogo dove non ci sono i socialisti europei". I temi eticamente sensibili, infine: posizioni chiare, anche se assunte a maggioranza, nel rispetto della libertà di coscienza di ciascuno, "inviolabile" in ogni caso, "il principio della laicità dello Stato". La convergenza Pd che ha consentito l’ampia maggioranza di ieri ruota intorno a questi temi. "Il Pd non può accettare che anche un solo cittadino possa essere privato della libertà di decidere sul proprio corpo", spiega Gianni Cuperlo. Paola Binetti, al contrario, è "molto perplessa e preoccupata". E il dalemiano Roberto Gualtieri, sotto la tribuna, ironizza sul fatto che "la laicità del Pd è possibile solo se a prenderne le redini sono i democristiani". "Dario è uno che va diritto al cuore dei problemi e non ci gira intorno", racconta l’emiliano Andrea Montanari. "Ricordo la Dc dell’89, quando si candidò Forlani...", si duole un ex popolare, che mantiene l’anonimato. Vannino Chiti insiste sulle "correnti" da superare. Walter Verini individua nelle parole del nuovo segretario "tutta l'ispirazione del Lingotto". "Bene Franceschini - spiega Rosa Calipari - Un discorso in continuità del progetto di Veltroni". Tranne poche eccezioni, le diverse anime del Pd - chi in polemica con la segreteria Veltroni, chi in difesa - si schierano con il nuovo segretario che, tra l’altro, così lasciano intendere le sue parole, non intenderebbe candidarsi alle primarie d’autunno.

Due candidati

Due candidati alla segreteria, ieri: 1.047 voti per Franceschini, 92 per Parisi. Presenti alla Fiera di Roma 1229 dei 2800 delegati eletti nel 2007. Si annunciavano venti di guerra. Qualche momento di tensione, in realtà, quando un gruppo di ospiti e delegati ha chiesto a gran voce le "primarie", "Così non si fa altro che far accorrere le telecamere per dare un’idea distorta dei nostri lavori", rimproverava Anna Finocchiaro, che presiedeva l’Assemblea. E l’applauso della platea smorzava il coro di chi protestava. Si prevedeva una Costituente di forti tensioni, "ingovernabile", come temeva qualcuno. Non è stato così. Sarebbe sbagliato, tuttavia, confondere la "responsabilità" - non rassegnata e arrabbiata dei più - con la convinzione che il percorso imboccato sia quello giusto. La gestione accorta di Anna Finocchiaro, tra l’altro, ha contribuito fin dall’inizio a svelenire il clima. "Ci sono opinioni diverse tra di noi? Meglio troveremo la soluzione migliore", ha esordito la presidente dei senatori Pd.

Lavoro in periferia

Si scriverà di un’Assemblea "blindata" dai dirigenti nazionali del Pd - ex diessini soprattutto - che hanno lavorato ventre a terra perché prevalesse l’opzione A: Franceschini segretario subito e, ad ottobre, congresso e primarie. Ma non tutto è spiegabile così, visto che molti delegati non sono "diretta emanazione di alcun settore del partito". "Le primarie sono uno strumento di partecipazione - ha spiegato Fassino - Ma non possiamo ridurle a un esercizio plebiscitario scindendole dal congresso". Dieci interventi, ieri mattina, per decidere quale strada imboccare. Cinque favorevoli all’elezione immediata del segretario (Fassino, Errani, Bindi, Realacci, Tombolini), altri cinque a favore delle primarie (Parisi, Rognoni, Lerner, Concia e Morando). Alla fine il primo dei due voti della giornata, per alzata di mano: 1006 voti favorevoli e 207 contrari, strada spianata per Franceschini e per la candidatura di Parisi. Per il segretario, poi, si vota a scrutinio segreto. "Ho votato per Dario - dichiara Rutelli - Gli daremo tutto l'aiuto che vorrà chiederci". "Oggi assistiamo a una nuova partenza", sottolinea Bersani, che mantiene la candidatura alla segreteria in vista del congresso. Franceschini? "l’ho trovato determinato", spiega Marini, tra i maggiori sponsor del nuovo segretario. "Era l'unica via ragionevole - commenta D’Alema - la discussione la faremo al congresso, ma quella di Franceschini è una piattaforma politica chiara".

22 febbraio 2009

 

 

 

 

il SOLE 24 ORE

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2009-02-22

Franceschini: "Berlusconi

è contro la Costituzione"

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22 febbraio 2009

Dario Franceschini (Ansa)

SCHEDA

Chi è Dario Franceschini

REAZIONI

Veltroni: "L'uomo giusto"

Gasparri: "Durerà meno degli altri"

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Dal suo blog

AUDIO

Bersani: "Adesso tutti al lavoro"

COLONNA SONORA

Torna la "Canzone Popolare" di Ivano Fossati

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DOCUMENTO

La lettera di Franceschini a Napolitano

Sceglie Ferrara, la sua cittá natale, per il primo giorno da segretario pro tempore del Partito democratico Dario Franceschini e, con un gesto simbolico, giura sulla Costituzione davanti a una folla che si è raccolta di fronte al castello Estense. "Giuro di essere fedele alla Repubblica, di rispettare la Costituzione e le leggi e di esercitare la funzione di segretario del Partito democratico nell'interesse esclusivo della Nazione", dice.

"Il presidente del Consiglio - ha dichiarato - ha in mente un Paese diverso. Ha in mente un Paese in cui il potere viene più tacitamente concentrato nelle mani di una sola persona. Questo è contro la Costituzione su cui ha giurato fedeltà".

Quelli che attendono il centrosinistra saranno "mesi difficili, anni difficili, ma noi alla fine vinceremo" ha detto il segretario del Pd Dario Franceschini. "Fino a qualche decennio fa - ha detto - la Costituzione, l'antifascismo e la laicità erano valori condivisi da tutte le forze politiche, che si fronteggiavano anche duramente. Oggi sembra che noi sia più così. Noi vogliamo che torni ad essere così. Saranno mesi difficili, anni difficili, ma noi alla fine vinceremo".

"Non è il momento della delusione, non è il momento dell'astensionismo, non è il momento del disimpegno", ha concluso, facendo appello a tutti gli italiani "che credono nei valori condivisi che hanno fatto nascere la nostra Costituzione, dall'antifascismo e dalla resistenza, in modo civile, pacifico e democratico". Per loro arrivato il momento che "comincino una lunga battaglia per difendere la democrazia italiana".

 

Dario Franceschini succede a Walter Veltroni, dimessosi dopo la sconfitta elettorale in Sardegna. La sua elezione è avvenuta a larghissima maggioranza. Su un totale di 1.258 delegati aventi diritto di voto Franceschini ha raccolto 1.047 preferenze mentre l'altro candidato, Arturo Parisi, ha raccolto 92 voti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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